Difficile leggere “Chi sono io? Autoritratti, identità, reputazione” senza restare intrappolati nella ricerca spasmodica di domande che Concita De Gregorio pone a se stessa e a coloro che insieme a lei vogliono attraversare il sentiero della conoscenza antropologica e psicologica dell'essere. Un viaggio etimologico della personalità depauperata dagli orpelli della rappresentazione sociale. Partendo dal selfie fino al arrivare al percorso intrapreso dalle più rappresentative fotografie del nostro tempo si cerca di capire cosa è rimasto dell’io, quanto si nasconde o si svela dietro uno scatto. La rete con il vizioso gioco delle apparenze sta facendo perdere di vista il soggetto con le fragilità, paure, invocazioni di aiuto. Con il linguaggio cristallino della giornalista che non si tira indietro davanti alla realtà, Concita sceglie di incontrare diverse artiste dell'obiettivo. Nascono storie di vita, quel “cercarsi, mancarsi, incontrare, incontrarsi”. Il libro, pubblicato da Contrasto, accosta parole a immagini in una vertigine crescente di simbologie. Quel volto che si deforma nel suo doppio per Dora Maar è la frantumazione di un amore impossibile, mentre in Claude Cahun è “specchio, che ti mostra uguale e diversa”. La scarnificazione del nudo in Francesca Woodman o in Hélene Amouzou perpetua l'atto della nascita, l'incontro con la Madre. Sfilano le testimonianze, i ricordi e si ha la sensazione di assistere in differita al film delle nostre esistenze. “Quello che vediamo è la proiezione di quello che abbiamo dentro: lo sguardo è la traccia della nostra storia”. Resta da chiedersi se dietro ai profili social riusciamo ancora a rivelare la nostra preziosa diversità.
Difficile leggere “Chi sono io? Autoritratti, identità, reputazione” senza restare intrappolati nella ricerca spasmodica di domande che Concita De Gregorio pone a se stessa e a coloro che insieme a lei vogliono attraversare il sentiero della conoscenza antropologica e psicologica dell'essere. Un viaggio etimologico della personalità depauperata dagli orpelli della rappresentazione sociale. Partendo dal selfie fino al arrivare al percorso intrapreso dalle più rappresentative fotografie del nostro tempo si cerca di capire cosa è rimasto dell’io, quanto si nasconde o si svela dietro uno scatto. La rete con il vizioso gioco delle apparenze sta facendo perdere di vista il soggetto con le fragilità, paure, invocazioni di aiuto. Con il linguaggio cristallino della giornalista che non si tira indietro davanti alla realtà, Concita sceglie di incontrare diverse artiste dell'obiettivo. Nascono storie di vita, quel “cercarsi, mancarsi, incontrare, incontrarsi”. Il libro, pubblicato da Contrasto, accosta parole a immagini in una vertigine crescente di simbologie. Quel volto che si deforma nel suo doppio per Dora Maar è la frantumazione di un amore impossibile, mentre in Claude Cahun è “specchio, che ti mostra uguale e diversa”. La scarnificazione del nudo in Francesca Woodman o in Hélene Amouzou perpetua l'atto della nascita, l'incontro con la Madre. Sfilano le testimonianze, i ricordi e si ha la sensazione di assistere in differita al film delle nostre esistenze. “Quello che vediamo è la proiezione di quello che abbiamo dentro: lo sguardo è la traccia della nostra storia”. Resta da chiedersi se dietro ai profili social riusciamo ancora a rivelare la nostra preziosa diversità.
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