Struggente, poetico e inflessibile: "Ipotesi di una sconfitta", pubblicato da Einaudi, Stile Libero, riordina il tempo secondo schemi che annullano le distanze tra lettore e scrittore. Crea una empatia su eventi storici che, nel dettaglio dell'esperienza personale, diventa storia collettiva di una generazione. Giorgio Falco descrive, con una lucidità ragionata, la deriva del mondo del lavoro, la precarietà di chi non vuole adattarsi ad essere pedina del sistema. Presenta tanti personaggi, incontrati per caso nel caos di una società che inizia a subire le metamorfosi degli anni ottanta. Ognuno ha quella originalità che solo un occhio attento sa cogliere. È la vita sfrangiata di mediocrità intrappolata dalla quotidiana scalata per la sopravvivenza.
Chi ha conosciuto l'umiliazione in un ufficio di collocamento, ha sentito di essere "ai bordi", ha assaggiato l'amarezza di un rifiuto, ha percepito sulle ossa la rinuncia come mancanza di scelta sarà approdato in quella terra che gli appartiene.
Senza la saccente arroganza di chi conosce le risposte, lo scrittore riesce a fare una analisi sociologica raffinata, cercando episodi che raccontano la nostra Italia. La sua è una scrittura asciutta, solo in alcune pagine traspare un grumo di dolore, il senso di non appartenenza. La forza del romanzo sta nell'equilibrio tra privato e pubblico, nella capacità di dare un volto alla finzione.
"Avevo fallito per liberare mio padre", una frase che va oltre le parole, scardina i silenzi, apre spiragli di comprensione.
Giorgio ci invita ad accostarci all'altro, guardandolo con il desiderio di coglierne il mistero, ad affidarci alla letteratura, " che cresce e perisce, rinascendo ogni volta".
Non "un ipermercato della memoria" ma la fertile rivisitazione di ogni attimo di vita che contamina presente e passato alla ricerca di quel germoglio che ci rende vivi.
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