Ci sono libri che, letta la sinossi, attraggono, diventano calamite e trasmettono un messaggio chiaro: aspettano proprio te.
Da "Restare vive", pubblicato da Einaudi Stile Libero, ho subito questa strana alchimia e mentre la notte batteva il suo tempo diseguale, le pagine assumevano contorni di una storia già vissuta.
Le "Vecchie Amiche" unite da ore, giorni, adolescenze, matrimoni, abbandoni, nascondono un prezioso segreto. Nella interazione di esperienze ognuna è rimasta sé stessa. Le conosciamo e ci riconosciamo.
Caroline e la paura di appartenere al gruppo e di lasciarsi andare, Molly e quella macchia d'infanzia stampata sulla pelle, Helen che nei colori improvvisa la scenografia del finale, Ming, tradizionalista "globetrotter romantica", ed Anna, protagonista coraggiosa di una battaglia che dura da anni. La malattia ha scavato solchi profondi sul corpo ma non ha intaccato il desiderio di scegliere fino all'ultimo respiro.
"Lei non è spaventata. Finalmente è libera dal cappio del terrore": una frase che scioglie anche il nostro sgomento di fronte all'ignoto, al silenzio che inghiottirà il nostro tempo.
Victoria Redel scrive un romanzo che ha la tenerezza dell'addio, la delicatezza del ricordo, la dolcezza della comunione.
Invita a guardare alla malattia come a una compagna che cammina con noi, a fidarci e affidarsi alle persone che amiamo.
Regala pagine di amore purissimo, quello che c'è nel bene e nel male, che ti stringe forte quando stai per affondare.
Regge una trama con alternanze spazio temporali costruite con il ritmo poetico di chi dell'esistente sa cogliere l'essenziale. Prima e dopo, origine e fine in un valzer che resterà impresso in chi la legge.
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