Alla giovane protagonista di "La vita delle ragazze e delle donne", edito da Einaudi, ci si affeziona subito per la spontaneità e la voglia di interrogarsi.
Alice Munro non utilizza artifici narrativi ma offre un romanzo compatto, che dalla forma del racconto conserva l'osservazione del dettaglio, la meticolosa scelta del fonema.
Una scrittura che, nell'indugiare nelle descrizioni, offre il ritratto di un periodo storico. Gli anni quaranta in un piccolo centro sono il pretesto per un'analisi impietosa di un modo di vivere.
È la donna protagonista nella figura stravagante della madre, nei sogni borghesi dell'amica, nelle chiacchiere divertenti delle zie.
L'adolescenza con i suoi turbamenti non è preludio di un romanzo di formazione. La scrittrice scardina il genere e nella ragazzina concentra il tumulto interiore di chi cerca una identità non subalterna alle figure maschili.
Si rivela innovatrice, insofferente a schemi obbligati, riuscendo a dissacrare un modo di essere e pensare.
L'amicizia come limitazione di spazi autonomi, lo studio come scoperta di galassie e universi, il piacere come "fuoco d'artificio" mentre i luoghi e i personaggi, focalizzati come immagini in bianco e nero, ingigantiscono il bisogno di conoscenza.
Si ha la sensazione che la Munro parli ad alta voce svelando i suoi dubbi al lettore. La sua grandezza sta proprio nel proporre alternative al sentire comune.
L'amore per i libri e la ricerca di un Dio che travalichi l'idea del peccato trasformano il testo in un intrigante viaggio verso la libertà, quella libertà che "non si ottiene così facilmente".
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