"Il peso delle parole" Pascal Mercier Fazi Editore
"Scrivere non crea uomini nuovi.
Ma produce chiarezza e comprensione.
O perlomeno la loro parvenza.
E quando si è fortunati nell'inventare le parole, è come un destarsi a se stessi e allora nasce un tempo nuovo: il presente della poesia."
L'esergo di "Il peso delle parole", pubblicato da Fazi Editore, tratto da "O tempo da poesia" di Pedro Vasco De Almeida Prado, è la perfetta sintesi di una prova letteraria di altissimo livello intellettuale.
È anche il percorso di rinascita compiuto dal lettore, irretito da un universo dove il fonema è protagonista assoluto.
Ci si sente immersi nelle acque ancestrali del desiderio dove le porte delle possibilità sono tutte spalancate.
Dove il linguaggio rappresenta l'essere umano, lo contraddistingue, lo rende divino.
Dove non esistono barriere linguistiche e partendo dallo studio degli idiomi si arriva alla conoscenza profonda dell'universo.
Dove non si sa più la differenza tra cielo e terra, tra teoria e pratica, tra magia e realtà.
Dove studiare significa cambiare, subire quotidiane metamorfosi.
La splendida traduzione di Elena Broseghini attinge al testo originario con la delicatezza di chi ha in mano un oggetto prezioso e fragilissimo.
Vincitore del Premio Grinzane Cavour con "Treno di notte per Lisbona", Pascal Mercier supera sè stesso.
Con una lirica che si compone di vari strumenti scrive la storia delle storie.
Affida il compito di lanciare il suo messaggio ad un personaggio che ameremo fin dalle prime pagine.
Simon Leyland è stato fin da bambino attratto dal mistero delle lettere e sfidando il giudizio dei genitori diventa traduttore.
La sua passione dilaga spinta dallo zio, un linguista che gli da la spinta emotiva.
Il romanzo è focalizzato su due luoghi: Trieste e Londra e ben presto ci si accorge che la scelta non è casuale.
Precisi sono i riferimenti simbolici che rientrano nel percorso formativo del protagonista.
Un'evento traumatico turba l'equilibrio dello studioso.
Accade all'improvviso come una scossa che parte dall'interno.
L'incapacità di scrivere e di pronunciare verbo, come una predestinazione, un destino maligno.
La diagnosi è pesante e definitiva e forse per non perdere anche la memoria il nostro compagno di viaggio inizia ad interrogarsi sul presente, sul passato, sulle questioni esistenziali.
Intrattiene una corrispondenza carica di emozione con la moglie Livia morta da tempo.
È la necessità di rifiutare la morte, di credere in un'ipotetica immortalità legata agli scritti che lascerà ai suoi due figli.
È il pellegrino nelle terre desolate del tormento, è il viaggiatore che con le ultime forze affronta la salita.
C'è coraggio e determinazione, fiducia nel potere taumaturgico dell'eloquio, incontro con le parti intime del sè.
La scrittura si fa densa, compatta mentre emergono ricordi.
Non un'attesa passiva ma il barlume di speranza che ha qualcosa di sacro.
Una spiritualità laica che si imprime sulla carta e diventa sigillo di un futuro.
Nel finale mentre calano le luci ci si accorge quanto sia strano quella che chiamiamo fatalità.
Fidatevi:
"La fantasia è il vero luogo della libertà."
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