"Un inverno freddissimo" Fausta Cialente Nottetempo Editore
"Un tenue bagliore alla curva dell’orizzonte annunciava il giorno autunnale che stava per levarsi sulla città avvolta nelle sue nebbie fluttuanti.
Durante la notte esse avevano persistentemente celato le stelle nel cielo spento e chiuso, ma adesso l’orlo di luce diventava a poco a poco una striscia luminosa sempre più larga, una vaga fosforescenza che lentamente dilagava e si spandeva."
L'incipit di "Un inverno freddissimo", pubblicato da Nottetempo Editore, ha due elementi simbolici che si ripresentano nel corso della narrazione.
La nebbia e la luce si contrappongono in una rappresentazione plastica di un tempo storico.
Il 1946 è anno di ricostruzione ma è anche tempo della memoria.
Si oscilla tra il desiderio di andare avanti e il bisogno di non disperdere il ricordo.
Tante figure sembrano incastonate all'interno del testo come baluardi di quelle macerie non solo materiali.
La soffitta diventa il luogo della riconciliazione tra due mondi: il Prima e il Dopo.
Il disegno delle travi è monito di ciò che è stato e delle ferite incancellabili.
Fausta Cialente si distacca dalla letteratura dell'epoca pur mantenendo accenni neorealisti.
Nelle descrizioni dettagliate, negli scorci di una Milano che assume sembianze metaforiche, nella parola suadente, nei dialoghi brevi ed eloquenti, nella poetica della stagione si percepisce un lavoro di cesello e di ricerca.
Per l'autrice la scrittura è sempre stata libertà di espressione, desiderio di monitorare il presente.
La comunità che condivide lo stesso tetto è la riproduzione della società ed ogni personaggio incarna con differenti comportamenti il momento storico.
Spicca la figura di Camilla che tiene insieme la sua famiglia allargata.
È come se la guerra avesse frantumato ogni sentimento, ogni emozione e la protagonista deve ricucire ciò che non ha più identità.
Il suo è un ruolo complesso perfettamente interpretato.
Le figlie, Alba e Lalla, sono antipodi di una modernità che tarda ad arrivare.
La trama procede con sonorità linguistiche ed incastri stilistici.
Il romanzo, curato da Emmanuela Corbè, è imperdibile testimonianza di resistenza e di coraggio.
È segno che la letteratura ha valore terapeutico, che si è madri che sanno abbracciare non solo i propri figli, che le ferite si rimarginano se si ha la fermezza di volerle curare.
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