"Dove ho imparato a dire ti amo?" Mentre i ricordi si impigliano impazienti nel silenzio di un quotidiano in dissolvenza Maurizio Maggiani in "L'amore" (Feltrinelli) ci racconta un'epoca. Per chi l'ha vissuta è un groppo che ti assale, ti trascina portando immagini che credevi dimenticate.
Riappaiono gli entusiasmi di chi voleva cambiare il mondo, gonne a fiori e il cuore pieno di entusiasmo. Lunghe discussioni e attese ai cancelli delle fabbriche quando "il popolo era ancora un popolo bambino".
E la scoperta dell'altro quando le parole erano superflue, erano gli sguardi e le intese su un progetto comune ad attrarre.
I libri, preziosi tesori, presi "nel furgone della biblioteca mobile", scelti con la consapevolezza che erano la prima finestra su un mondo ancora oscuro.
Ad addolcire la malinconia due sposi e la gestualità che si amplifica, prende corpo, narra anche il silenzio.
Lo scrittore è cantastorie e ci insegna l'arte del racconto. Fa rivivere amici e incontri e donne, anima ogni pagina, la libera dalla prigione di un foglio scritto e la rende reale.
Non cerca sublimazione della memoria, regala una testimonianza, quella di un uomo semplice che ogni giorno ha pedalato cercando una meta.
Ed oggi ci chiede che ne è stato dei "tempi dell'ardore", chi ci ha rubato il languore di un'emozione, dove è finita la complicità di una rivolta tutta da inventare.
"Tutto era sospeso e in attesa", in "quegli anni disadorni".
Una prova letteraria dove niente è corrotto da false piste narrative. Un'esistenza regalata a chi ha ancora voglia di ascoltare e imparare.
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