Sarà difficile dimenticare "Julie", voce narrante dell'omonimo romanzo pubblicato da Nutrimenti.
"La verità è che, credo, ho avuto la mia buona dose di caro, vecchio, maledetto dolore."
Ci appare bambina in attesa di comprendere le liti tra i genitori, adolescente strappata all'affetto del padre, giovane innamorata, timorosa di lasciarsi andare.
La famiglia disfunzionale viene raccontata con distacco, una distanza necessaria che percorre tutta la narrazione.
La nostra protagonista sa sorridere delle storture che l'esistenza le riserva, non nasconde le debolezze, i limiti che restringono il suo mondo.
Colpisce la capacità di superare la solitudine inventando personaggi immaginari, manipolando il presente come fosse creta da modellare.
Non si sottrae ai giudizi all'umanità che la circonda ma lo sguardo resta quello di una ragazzina innocente.
"La mia vita è stata parecchio simile a quella guerra che si stava combattendo nel dicembre del '39".
La grandezza di Don Robertson sta nel costruire intriganti saghe familiari che vivono nel presente. Un presente che si scorge appena, quanto basta per percepirne colori e umori.
Il suo narrare è coinvolgente proprio perchè non c'è niente di artefatto.
È la quotidianità di figure marginali, spesso indurite dalle troppe ferite ma ancora capaci di provare emozioni.
Trasforma il racconto in un dialogo con il lettore, in una continua contaminazione di pensieri e riflessioni.
Rappresenta il trapasso nel momento dell'ultima comunione, quel magico istante in cui vita e morte sbiadiscono risucchiati da sentimenti immortali.
Invita a supportare le proprie ambizioni, a credere a progetti futuri e nel contempo lascia ai suoi personaggi la libertà di perdersi tra i fumi dell'alcol, di raggiungere l'estasi dei sensi.
Si sofferma sui dettagli di un incontro e trasforma la tempesta di sguardi perduti, di appuntamenti mancati in possibilità.
Basta solo raccogliere il positivo, abbeverarsi di fronte ad ogni avventura, vincere il timore e la paura di non essere adeguati.
Una storia che commuove e fa sorridere, che si legge senza pause perchè entra nella pelle, diventa palcoscenico di quella girandola di eventi che troppo spesso si sfugge.
"Scrivere per Robertson era da sempre un modo per dare ordine al mondo" e in quell'ordine dove è concessa l'anarchia della ricerca ci ritroviamo.
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