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@bafiorio racconta a @CasaLettori #QuelcosaDiVero @feltrinellied


Ogni giorno, in Italia, oltre cento nuovi titoli si rovesciano nelle librerie, scansando gli altri. Quando ci penso, mi chiedo quale alchimia riesca a far inciampare i lettori in Qualcosa di vero. Sicuramente aiutano le recensioni, la casa editrice, il passaparola e altri imponderabili elementi. E poi c’è chi mi ha conosciuta attraverso i miei libri precedenti. Ma quell’esercito quotidiano di cento soldatini di carta rimane lì, pronto a sostituire i predecessori.
Quindi sono io a voler sapere perché un lettore ha scelto me e il mio libro. Come ci è arrivato, cosa lo ha convinto, cosa lo ha conquistato?
Perché per ogni lettore è un dettaglio diverso.
E io, prima di essere una che scrive libri, sono una che li legge.
Perciò, adesso, parlerò come lettrice. Del resto, siamo a Casa Lettori.

Se non conoscessi l’autrice e non avessi mai sentito parlare di Qualcosa di vero, sarei attratta dalla copertina. È buffa, allegra, elegante, e allo stesso tempo trasmette qualcosa di importante, sotto quel cappello da fungo. Una donna di cui non si vede il volto, vestita di bianco su sfondo bianco. Una donna che non cerca di attirare l’attenzione, e proprio per questo non posso fare a meno di notarla. Intuirei, sbirciando la quarta di copertina, che dentro una pubblicitaria di quasi quarant’anni si nasconde un mondo interessante da scoprire, molto più profondo e sfaccettato di quel che lascia trasparire in superficie.

Aprendo il libro, e leggendo il primo capitolo, sarei conquistata dallo stile ironico. Parlare della mia scrittura come se non fosse la mia fa ridere pure me, ma amo gli autori che sanno usare il senso dell’umorismo. Quelli che sono capaci di piccole pennellate caustiche, sarcastiche, ironiche. È come se mi facessero respirare il cervello.
Quindi, dicevo, l’ironia. Sì. Lo stile di Qualcosa di vero è uno dei motivi per cui lo comprerei e lo leggerei. Perché con l’ironia si può scendere in profondità senza strappare le viscere ma toccando comunque le corde delle emozioni e del pensiero. Perché con l’ironia si può rendere lieve un macigno, senza nasconderne la dimensione dietro un velo

Inoltre, in Qualcosa di vero si ride ma non solo. Si parla di piccole solitudini, di battaglie personali, di incomprensioni, di verità, di giustizia, di storie, di amicizia, di solidarietà, di coraggio, di paura.
E di amore, con tutti i significati che questa parola si porta dietro.
Andando avanti con la storia, mi innamorerei di Rebecca e di Giulia, e non solo di loro due. Sarei intenerita dall’affetto che lega una bambina di quasi nove anni alla sua vicina di casa di quasi quaranta, quell’amore che è l’amicizia. Mi emozionerebbe l’affetto che può nascere tra gli sconosciuti che si incontrano su un pianerottolo, un amore che è famiglia. E poi troverei l’amore di una figlia per la madre, di una donna per il senso di giustizia, di un vecchio attore per il teatro. L’amore per la verità anche nelle fiabe, l’amore per il lavoro, l’amore per i draghi, l’amore per se stessi, che a volte manca e rende vulnerabili. E sì, anche l’amore tra un uomo e una donna che si nasconde tra gli aloni di caffè, le carte dei mestieri o le torte alla nocciola.

Di una cosa sono assolutamente sicura: non lo leggerei solo perché sono una donna.
Lo leggerei pure se fossi un uomo, perché mi immedesimerei in Lorenzo e Daniele. E forse un po’ in Leone. E perché è una storia che parla anche agli uomini.
Lo leggerei se fossi un genitore, perché riconoscerei le dinamiche dei bambini, entrerei nel loro mondo, scoprirei le fiabe vere.
Lo leggerei se non avessi figli, perché la genitorialità non è necessaria per stare bene, per credere nei draghi e per vivere una storia che fa parte della nostra realtà.
Lo leggerei se fossi giovane, se fossi anziano, se fossi un insegnante o un pasticcere, se fossi uno psicologo, se fossi un libraio, se fossi un medico o un infermiere, se fossi un vicino di casa, se fossi un attore, se fossi un fumettista o un illustratore, se fossi un giornalista, se fossi un barista, se fossi triste, solo o senza tv, se fossi al mare o a letto di domenica, se fossi in viaggio o se fosse maggio, se fosse autunno e fuori piovesse.
Lo leggerei per divertirmi, per commuovermi, per arrabbiarmi, per riflettere su ciò che non vedo, per il timore di ciò che non faccio, per curiosare nei nostri nove anni, per ridacchiare dei nostri quaranta, per fare il tifo, per credere in qualcosa. In qualcosa di vero.

#QualcosaDiVero è ritorno alle origini, all'innocenza e alla creatività.
E' inno all'amicizia, al rispetto dell'altro, alla gioia di vivere.
Nel romanzo l' incontro diventa conoscenza, gestualità, parola.
Barbara Fiorio ha lo sguardo divertito di chi non ha paura di confrontarsi con i gorghi della solitudine e con le parole non dette.
Inventa personaggi che continuano a farci compagnia, a raccontarsi e a rimettersi in gioco.
E noi rapiti vorremmo che il mondo disegnato dalla scrittrice fosse reale.



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