Francesco Muzzopappa torna in libreria con un libro travolgente, ironico, arguto, adrenalinico.
Con Heidi, pubblicato da Fazi, esplora la galassia femminile. Come si costruisce scenicamente la figura complessa di Chiara?
Osservando le donne quando ti guardano, quando si parlano, gesticolano, pensano, agiscono. Quello femminile è un universo complesso rispetto a quello maschile, molto più simile a una stella nana a bassissima luminosità.
Esiste un parallelismo tra il romanzo e la favola evocata nel titolo?
Rispetto ai miei romanzi precedenti, questo ha un impianto più tenero, per quanto sempre (costantemente) sarcastico rispetto ai tempi che viviamo e alla società che ci attraversa. La storia rassicurante di Heidi è più che altro una speranza per un’Italia che, emotivamente, si sta inaridendo.
Ha voluto staccarsi dalla commedia trasformando il testo in una denuncia sociale. Raccontare le conflittualità del presente significa interpretare un nuovo modo di essere intellettuale?
Ho la fortuna di poter utilizzare la lente distorta della commedia per evidenziare in maniera netta i paradossi che ci circondano. Non ho altro modo per denunciare la mancanza di modelli di riferimento se non usando lo sguardo (spero) affilato della satira più schietta e spietata. Heidi credo vada oltre il testo in sè: vorrei avesse il suono di una sveglia gigantesca.
Milano è la palude dei nostri tempi azzerati. Rispetto alla visione di città rappresentata da Calvino cosa è cambiato?
Il primo ricordo che ho di Milano risale al 2001. Ero in metropolitana: le persone intorno a me schizzavano come proiettili, un enorme formicaio. Con il tempo ho capito che il lavoro oltre l’orario di lavoro qui è la regola. Spero che la città, sempre più vivibile e accogliente, riesca a rallentare i ritmi. C’è molta gente che rinuncia quotidianamente, volontariamente, a vivere la vita, per ricevere in cambio (tra l’altro) trattamenti indegni. Un meccanismo perverso.
Parlare di anziani in un mondo che ci vuole perfetti significa recitare una parte scomoda. Il personaggio di Massimo sfaccetta il disagio psichico, lo rende impermeabile al gelo collettivo. Una riabilitazione che fa esplodere la tenerezza dell'individuo?
In un’epoca che crea memorie digitali sempre più capienti e illimitate, un uomo senza memoria è spiazzante, e rischia di essere considerato quasi obsoleto. Viviamo tempi cinici e spesso anaffettivi e della nostra vecchiaia - che ci riguarda e riguarderà tutti - ci occupiamo poco. Si tende addirittura a rimuoverla, a non rappresentarla. Mi piaceva mettere al centro di Heidi un personaggio come Massimo che da marginale diventa il perno della storia, addolcendo i tratti di chi gli è accanto e, per contrasto, rompendo con una città sempre più caotica, a volte distratta.
La televisione e la fatua scultura del non senso?
Siamo passati dalla dimensione pedagogica della televisione pubblica, che tentava di unificare il paese attraverso sceneggiati di valore e spettacoli pieni di talenti, cantanti, musicisti di peso, alla dimensione populista che si occupa quasi esclusivamente del privato più becero: non più grandi talenti ma piccole risse, personaggi bidimensionali, macchiette televisive che dimenticheremo in fretta, trash appallottolato senza stile. La televisione, che ci piaccia o meno, propone modelli di comportamento, e la sovraesposizione di programmi popolati da personaggi usa e getta, costruiti per stimolare le impennate di auditel, non migliorano un Paese come il nostro già martoriato dal qualunquismo. Mi sbaglierò, ma la vedo così.
Curati e molto casellati i riferimenti letterari. Leggendo sembra di essere in una biblioteca a sfogliare classici con la curiosità dell'esploratore.
Ho una laurea in lingue: ho passato anni a leggere esclusivamente grandi classici inglesi, americani, spagnoli e, ovvio, italiani. La curiosità dell’esploratore non sai mai dove ti porterà. Nel mio caso mi ha condotto in quello scaffale poco frequentato della narrativa satirica: Swift, Sterne, Flaiano, Marchesi, Campanile, per cominciare. Ma anche l’assurdo di Samuel Beckett, che mi ha spinto con il tempo tra le braccia di Karl Valentin e i Monty Python. E lì ho piantato la mia tenda.
Chiara e Thomas, segmenti che potrebbero non incontrarsi. Si può rileggere l'amore come lenta miscellanea di frammenti che si infrangono le diversità?
La chiave è la tenerezza: la tenerezza fa nascere fiori insperati.
“Quando uno ride, vedi un po' la sua anima” dice Roberto Benigni. Cosa è per lei l'ironia e quanto modula le nostre sconfitte?
Tengo sempre a mente le parole di Angela Carter: “Una commedia non è altro che una tragedia che succede a qualcun altro”. Sono consapevole di affrontare ogni volta un processo sadico, ma adoro infilare i miei personaggi nella disperazione e lasciare che ne escano con le proprie forze, sdrammatizzando. La tristezza è un territorio vasto e molto sondato dalla narrativa contemporanea. Io mi siedo nel versante opposto.
I tanti personaggi che fanno da corollario al testo sembrano usciti da un sogno surreale. Liberare la creatività diventa un atto catartico?
Rispetto ai personaggi principali del testo, che hanno sicuramente uno scavo in più, quelli di contorno sono creati apposta per rappresentare i tanti mostri che ci circondano. Nel grottesco c’è molta miseria e per questo molta umanità. Insieme ai protagonisti della storia, contribuiscono a disegnare un mondo paradossale e allo stesso tempo molto vero, vivido.
Perché leggere “Heidi”?
Perché credo sia un romanzo molto contemporaneo. Una fotografia spietata della nostra cara Italia. Ma il mio è un parere ovviamente di parte.
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