"Questa è la vera bellezza della nostra rinascita. Reimpostarsi non solo nel corpo, ma soprattutto nell'anima". È la sensazione che si prova salendo sul "Torpedone Trapiantati" (Einaudi Stile Libero). Insieme agli amici, quelli che continuano a salire giorno dopo giorno tra prelievi, farmaci antirigetto, complicanze e una nuova voglia di assaporare la vita.
Francesco Abate a dieci anni dal trapianto festeggia con noi, ci fa ridere, commuovere, riflettere. L'umorismo è il vero farmaco, scioglie la tensione del ricordo, lo smembra, offrendo quei giorni in rianimazione, il bip che scandisce il tempo con la sacralità di chi si è affacciato sul nulla consapevole che gli attimi possono diventare preziosi.
La Malattia e il Malato si incontrano sul ring e potrebbe essere una metafora. Negativo e positivo, nero e bianco ci accompagnano, non possiamo farci da parte. Bisogna "ridere dei nostri difetti, delle nostre debolezze, scovarle, esorcizzarle con grandi risate.".
Spiegare a una figlia cosa significa soffrire, elaborare un lutto, sentire dentro di te quella voce, quella presenza che ti ha salvato con un gesto d'amore.
Le lacrime liberano il nodo alla gola, si chiude il libro e si ha voglia di rileggerlo. Riincontrare i tanti personaggi che lo scrittore sa animare, ripetere come scioglilingua le frasi in sardo e pensare che il dono di un organo è il più sacro gesto, unione di anime, intrecci di esistenze.
Grazie Francesco
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