"Luoghi oscuri, serrati. Quante porte chiuse troveremo in questa storia"
A prenderci per mano e a condurci durante la lettura di "Il libro di Emma", pubblicato da Sur, è la giornalista e scrittrice Teresa Ciabatti.
Nella prefazione densa di suggerimenti quasi subliminari, ci invita a lasciarci andare, a immergerci nell'infanzia di quella che diventerà una delle più apprezzate pittrici colombiane.
Ci permette di cogliere le numerose simbologie.
Le intense lettere inviate all'amico Germán Arciniegas non rappresentano solo una corrispondenza privata.
"Si nasce sapendo cosa sono fame, freddo e morte."
Le vicissitudini della voce narrante e della sorella Helena scorrono attraverso immagini forti, accompagnate dai disegni dell'artista.
Nero su bianco, tagli profondi sul foglio, volti scarnificati, ingessati in un'espressività furiosa.
L'abbandono, mancanza che bisogna colmare, ripetitiva esperienza subita come una punizione.
E quel grido che arriva come un'urgenza mentre il mondo continua la sua corsa.
Gli spostamenti da una città all'altra senza comprendere il senso dell'allontanamento dai pochi punti fermi.
Stanze buie dove si consuma "un pianto muto".
Ricordare con tanta precisione ogni volto, ogni incontro: un bisogno di conservare qualcosa, anche solo una parola, un frutto regalato, un gesto di tenerezza.
Ma anche la necessità di suggellare il segreto di un'infanzia lacerata.
Il convento di clausura, la fede imposta, il silenzio complice delle suore: entriamo in punta di piedi, solo le emozioni illuminano i nostri passi.
Due figure rappresentano il Mistero all'interno della narrazione: "il Bambino e la Signora".
Allegorie che ognuno potrà interpretare inventando un proprio costrutto narrativo.
Non mancano i tratti ironici e i tanti sprazzi di luce, episodi sdrammatizzati e riproposti con l'intenzione di mostrare il rovescio della medaglia.
Raccontare per elaborare la mancanza di una famiglia, per smitizzarne il ruolo, per gridare forte che la vita, quella vera ce la costruiamo lentamente superando i traumi.
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