Giampaolo Simi, scrittore, giornalista e sceneggiatore, fra gli autori italiani pubblicati in Francia nella “Série Noire” di Gallimard, ha vinto il Premio Scerbanenco con “Cosa resta di noi” e il Premio letterario Chianti con “La ragazza sbagliata”, entrambi pubblicati da Sellerio.
Anche in “Come una famiglia” non manca l'elemento sorpresa. È come se volesse demolire il bisogno di certezze
Quanto è cambiato il suo protagonista, Dario Corbo, nell'ultimo romanzo?
Dario Corbo è un giornalista che aveva smesso di cercare i fatti e interrogarsi su di essi, come il suo lavoro gli avrebbe imposto. Da quando quel lavoro lo ha perso, la vita lo costringe beffardamente a fare inchieste. Talvolta intime e durissime, come questa. Da una parte ritrova il gusto, anche angoscioso, del dubbio come metodo per arrivare alla verità. Dall’altra scoprire la verità, che non esiste per piacere a noi, lo rende sempre più cinico e, talvolta, spregiudicato.
Ha la capacità di non lasciare mai soli i suoi personaggi. Li segue, li supporta, ha lo sguardo amorevole del padre. Quale relazione tra autore e figura letteraria?
È una relazione davvero strana, la definirei di amore spietato. Un tipo di sentimento così contraddittorio praticamente impossibile da instaurare con le persone.
In “Come una famiglia” c'è un’oscillazione tra presente e passato. Nella costruzione del testo che ruolo ha la sua competenza scenografica (intendi di SCENEGGIATORE, credo)?
La famiglia è una costruzione che resiste o si deteriora proprio alla prova del tempo. È il tempo che dà profondità all’amore o alla ferocia a cui si può arrivare nei rapporti più intimi. Il montaggio dei ricordi di quando Dario, Giulia e Luca erano una famiglia unita è chiamato sempre dai fatti e dal tono emotivo del presente. Non interrompe mai il ritmo, anzi, ho cercato di scrivere quelle parti pensandole come una congiunzione fluida fra quello che accade ai protagonisti.
L'attualità del noir: non solo una trama ben architettata. Il lettore cosa si aspetta?
Il lettore, quello italiano soprattutto, non si aspetta più solo una trama ben architettata. La storia deve portarti via, e per farlo deve avere una meccanica ben studiata, deve muoversi, cambiare velocità nei momenti giusti ma non fermarsi mai. Ma il lettore alla fine ti giudica per dove l’hai portato. Il lettore non vuole una macchina, vuole un viaggio.
Tra le righe un atto di accusa al linciaggio mediatico?
Il modo in cui circolano le informazioni (o presunte tali) oggi è totalmente fuori dal controllo. In questo contesto, i processi sommari virtuali possono emettere sentenze immediate travolgendo vite e destini. E dopo non c’è rimedio. Se prima potevamo accusare certa stampa spregiudicata e sensazionalistica, adesso l’atto di accusa ricade su tutti noi, ogni volta che condividiamo qualcosa solo perché sembra trasformare le nostre impressioni o le nostre ossessioni in fatti, in realtà mai accaduti.
Il suo è un libro attraversato dalle “ossessioni”. Farle emergere aiuta a liberarsene?
Magari. Sicuramente è un primo passo per affrontarle e capirle. E poi esistono anche “magnifiche ossessioni” da cui è preferibile non liberarsi affatto.
Il personaggio più difficile da delineare?
Nora Beckford. È un personaggio ingombrante per il suo passato, il suo carisma, le sue contraddizioni. Per certi versi l’ossessione di Dario, per altri una fuoriclasse. Come uno di quei giocatori che tocca solo pochi palloni, ma sono quelli giusti e la partita cambia. Questo ci aspettiamo da Nora, ormai.
I suoi romanzi sono sempre in bilico tra il noir e l'introspezione. Elementi inscindibili?
Sì. Si tende a dimenticare che negli anni ’30 del ‘900 il noir non fiorisce solo come romanzo d’azione metropolitano. Soprattutto a Hollywood, dove cercarono rifugio registi di origine mitteleuropea (Fritz Lang, Billy Wilder, Ernst Lubitsch, Otto Preminger) portatori di una cultura psicanalitica, il noir nasce anche come indagine sui rapporti personali più intimi e sui propri fantasmi. Basta andarsi a rivedere due capolavori come La Donna Del Ritratto o La Fiamma del Peccato
Non è casuale il riferimento a “Re Lear”. Incuriosisce il riferimento a Cornelia.
Cornelia è l’unica delle tre figlie che dice a Re Lear ciò che davvero pensa. E paga un prezzo altissimo per la propria sincerità.
La sua Versilia è molto sfumata. Esiste una relazione tra luogo e malinconia?
Sembrerà strano, per un territorio associato al sole, alla vacanza e alla spensieratezza, ma il carattere dei versiliesi ha una radice di malinconica insofferenza. Quando sono in Versilia, una strana inquietudine li spinge a partire, quando sono in giro per il mondo, provano una struggente nostalgia e alla fine tornano.
Tre donne: Nora, Giulia e Aurora. Tre personalità differenti, entrambe vittime di una società che le vuole “altre”?
Giulia indossa l’uniforme della madre in maniera monodimensionale e un po’ cieca. Aurora è un’adolescente che cerca di essere ciò che i suoi coetanei maschi ritengono “desiderabile”. Per Nora la situazione è più sfaccettata. Lei è un’ex ragazza perduta, ha subito le stimmate del cliché, ha pagato un conto terribile e immeritato, ma in qualche modo è risorta.
“I genitori non dovrebbero essere zerbini”. La frase mi ha accompagnata leggendo il romanzo. Una riflessione sulle responsabilità della famiglia?
È una riflessione di Dario Corbo che però, poche pagine dopo, dovrà ammettere di non essere mai stato davvero in prima linea nell’educazione del figlio. Dunque una predica condivisibile, ma da un pulpito sbagliato. Il punto è che, anni fa, i genitori avevano comunque un’autorità riconosciuta loro anche in mancanza di autorevolezza. Oggi quell’autorità indiscutibile non c’è più, oggi un genitore non ha alternative a essere autorevole. Ed è una cosa difficilissima.
Arte, famiglia, calcio, adolescenza: il suo sguardo è attento a sfatare i possibili miti.
Non sono un guastafeste, premetto. Ma c’è sempre un lato oscuro, una zona grigia dove un narratore deve avere il coraggio di addentrarsi, altrimenti a che serve un romanzo?
Tornerà presto l'amato Corbo?
Tornerà. Quanto presto non lo so.
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