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"Il mio romanzo viola profumato" Ian McEwan Einaudi




"Ho rubato una vita e non intendo restituirla. Siate liberi di considerare le poche pagine che seguono come una confessione".
Due scrittori inseparabili, legati dalla smania di scrivere, cercano nelle parole l'essenza dell'esistenza. Cosa succede se uno dei due si appropria del manoscritto dell'amico?
"Il mio romanzo viola profumato", edito da Einaudi, è un divertente racconto che ha come nucleo centrale la crisi di identità, la paura di non essere all'altezza delle aspettative. Eccellente riflessione sulla dualità del narratore, sospeso tra la rappresentazione del proprio se e l'incapacità di coglierne tutte le sfumature.
Il romanzo diventa sfida costante, ossessione di realizzare l'opera immortale. Bisogno di superare i confini del presente e attraverso la scrittura definirsi, costruirsi una corazza indistruttibile, esserci sconfiggendo il tempo.
Il racconto è accompagnato da un'analisi sociologica e storica dell'io.
Ian McEwan cerca di definirne la sostanza attraverso una rilettura del patrimonio letterario. Dagli egizi che non ci hanno lasciato una testimonianza della propria soggettività ai "tanti punti di luce", accenni di ritratti individuali, delle tragedie greche. Con l'Odissea nell'incontro tra Penelope e Ulisse " si ha l'intenso annuncio di un ritratto possibile".
Sarà Montaigne a superare lo scoglio, a rivolgere lo sguardo verso l'interno, provando ad "osservarsi, ad assaggiarsi".
"In un'era come la nostra, che idolatra la celebrità e l'autopromozione attraverso la rete, stiamo forse vivendo il colmo di quel che significa essere un io".


Lo scrittore  ci invita a rivedere la nostra idea di unicità, il bisogno di costante autocelebrazione. Propone una riflessione sul ruolo della narrativa nella elaborazione di un modello identitario, che sia libero da vincoli emulatori. Il cerchio si chiude e si rilegge cercando le orme di una folle, attuale, incapacità di essere se stessi.
Certamente il riferimento alle accuse di plagio che lo infamarono trovano nelle pagine la libertà di sconfessare il marchio di una critica inclemente.
Ancora una volta ci troviamo in compagnia di un intellettuale capace di non fermarsi alla narrazione ma di esplorare "la tragica impermanenza della nostra mortalità".

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