Cecilia Scerbanenco in "Il fabbricante di storie", edito da La nave di Teseo, sceglie di "far parlare il padre, tralasciando testimoni più o meno affidabili e leggende varie".
Ne ŕicompone la personalità attraverso le opere, le lettere, "i materiali inediti".
Non la solita biografia ma l'accorato saluto ad un padre, il bisogno di ricucire insieme ombre e luci dell'Uomo.
Nelle pagine prevale l'attenzione ai moti dell'anima, alla infinita solitudine, alla ricerca di uno stile innovativo.
Lo sguardo malinconico di nonna Leda, gli anni del fascismo, la difficoltà nell'affermarsi: piccoli scorci suggestivi che ci regalano il letterato fiero, intransigente, innamorato della parola scritta.
"Gli uomini guardano alle grandi cose, costruiscono le città naviganti". Mentre Giorgio si sofferma sul dettaglio, sulla scelta del fonema.
Quella sua capacità di osservare la realtà da più punti di vista lo porterà al noir, dove troverà approdo certo grazie ad una scrittura che prende le distanze da vittime e carnefici.
Per chi ha amato Duca Lamberti sarà una gioia vederlo nascere, capirne le motivazioni psicologiche.
"Ciascuno di noi è chiuso nel suo proprio mondo, nella prigione dell'Io".
Tante le riflessioni che arricchiscono il testo, vero scrigno prezioso per comprendere un'epoca, un modo forse desueto di vivere la letteratura.
Un libro che si avventura con coraggio ed emozione verso l'ultimo, straziante incontro con la figura paterna.
Grazie a Cecilia per aver saputo concederci i suoi ricordi senza edulcorarli.
Grazie per la onestà intellettuale nel ricostruire un personaggio complesso, conflittuale, profondamente autentico.
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