"Mi sono collocata in un limite
Ci vivo dentro
Aspetto il momento di abbandonarlo"
Varcare il perimetro spigoloso di una interiorità che non ha pudori: "Permafrost", pubblicato da "Nottetempo", è una confessione, un lungo monologo che ferisce e guarisce.
La poetessa Eva Baltasar al suo esordio narrativo travolge con parole di fuoco. Non ci sono argini a contenere il bisogno di concedersi.
Nella negazione di una normalità vissuta come prigione, la protagonista cerca la cifra della vera identità. In bilico tra ricordo e sogno descrive "la resistenza, unico modo per vivere intensamente".
Per farlo è necessario abbattere "le misure di sicurezza", quei muri granitici che opprimono imponendo regole precise. È il corpo che si ribella, cercando nelle amanti un doppio o semplicemente un nuovo gioco di ruoli.
Quella famiglia bigotta, quella madre assetata di perfezione diventano mausolei ghiacciati e per uscirne bisogna fare scelte radicali.
Non sentirsi "un mattoncino lego", proprietà assoluta di qualcuno, permettersi di essere "vuoto e leggerezza assoluti".
La scrittrice gioca molto con il cromatismo emozionale: bianco, grigio, rosso. Ogni colore è figura simbolica di uno stato d'animo.
Paura, menzogna, passione diventano espedienti per entrare nel territorio scivoloso del non detto. Cosa resta di questo viaggio a volte straziante a volte ironico?
"La vita, la selvaggia che ci accerchia e che ci assedia."
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