Quel che si rischia di perdere è la verità; la verità di un padre o di una madre".
Con una narrazione che si sviluppa attraverso due voci narranti, Fabio Geda in "Una domenica", pubblicato da Einaudi Stile Libero, si interroga e ci interroga sugli equilibri tra generazioni. Non è casuale la scelta di un giorno all'apparenza normale sul quale ruota il romanzo.
È come se il tempo si dovesse fermare, imbalsamare quasi. Un orologio che scandisce attimi ed ognuno ha una sua luce, un riverbero, una nostalgia.
"Aveva sessantasette anni ed era vedovo da otto mesi, durante i quali aveva scoperto di aver prestato nel corso della vita più attenzione alle cose urgenti che a quelle importanti". La frase che presenta il primo protagonista è una anticipazione, un suggerimento di una storia che gioca con il ripensamento e il rimpianto.
Un uomo che ha viaggiato molto per lavoro, convinto che rientrare a casa possa sanare l'assenza.
Una famiglia che appare con descrizioni minuziose e si ha la sensazione di sfogliare un album di foto in bianco e nero.
Con garbo e con una dose di malizia di chi sa incuriosire il lettore lo scrittore introduce figure incontrate per caso, necessarie a svelare dettagli, a scavare nel passato. Passanti che entrano nella quotidianità con insistenza per "una voglia dolorosa di specchiarsi in un'anima affine, qualcuno con cui sentirsi a proprio agio anche in silenzio."
In un'alternanza di immagini, ben delineate nei brevi capitoli le parole della figlia, quella che più di tutte ha sofferto la mancanza di attenzioni, raccontano una storia parallela. Riuscire a ricucire le due parti, imparare a comprendere, forse anche a perdonare è un esercizio complicato. È necessario fare passi indietro, ripercorrere passaggi, evocare ricordi e forse saziare "la fame di memoria" e di affetto. Accettare di essere sempre inadeguati nel dare e nel ricevere amore. È vero, "la vita ci travolge, ci sopraffà", il racconto ci aiuta "a ragionare sull'emozione". Una bella lezione di convivenza.
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