La struttura narrativa di "Turbolenza", pubblicato da Adelphi, ricorda il precedente romanzo di David Szalay, "Tutto quello che è un uomo".
Una concatenazione di racconti che si riuniscono in un unico tema centrale. Lo scrittore ha la capacità di farci assaporare storie diverse creando un cerchio magico che le unisce.
Nel ritrovare gli stessi personaggi, nella necessità di fuga che li accomuna, negli incontri all'apparenza casuali, nella ripetizione di simili idiosincrasie si compone una mappa del genere umano.
Ogni figura è in attesa di qualcosa che possa alterare il corso della vita, quella inquietudine che li porta a sperimentare un nuovo cammino, una deviazione non sempre prevedibile. Un incidente, un malessere, un amore improvviso e dirompente, un incontro di poche ore: basta niente per travolgere la quiete.
Ancora una volta l'autore si cimenta in un'impresa non facile: dimostrare che niente è statico ma un perenne mutamento governa le leggi del creato.
"Avvertì la propria inadeguatezza di essere umano, e la cosa che desiderò maggiormente fu andarsene, poi si rese conto che quel desiderio era una sconfitta".
Esiste sempre un bivio, basta attraversarlo anche con il cuore in gola, affidandosi alla certezza che sull'altra sponda del fiume in tempesta ci sarà il nuovo.
Perchè il viaggio è una dei temi centrali? Perché il cielo assume dimensioni simboliche? Rappresentazione filosofica di un Altrove agognato o metafora di ancestrali paure?
"Non voglio vivere una vita non autentica. Dove facciamo finta". Parole che fanno bene al cuore lasciando una scia di speranza.
La ricerca di autenticità costi quel che costi e se c'è da sfidare l'imprevisto non bisogna temere. Ogni prova si conclude con una piccola conquista personale, dove niente è più appannato, dove la scelta si fa chiara. Basta non guardare in basso e imparare che "certe cose vanno prese sul serio". Quando tante storie costruiscono un unico impianto narrativo un solo commento: la letteratura ha raggiunto il suo apice.
Commenti
Posta un commento