"Martire"
Kaveh Akbar
La Nave di Teseo
"Ma poi accadde anche a Cyrus, proprio lì, in quella decrepita camera dell’Indiana. Chiese a Dio di rivelare Sé stesso, Sé stessa, Loro stessi, Esso stesso, insomma, quel che era. Lo chiese dal profondo della sua onestà, che era profonda come un pozzo. Se ogni relazione consiste in un gioco di avanzate e ritirate, Cyrus non era quasi mai quello che si ritirava, ma colui che condivideva invece ogni rilevante dettaglio di sé con una parola, un sorriso, un’alzata di spalle, come a dire “Sono soltanto fatti. Perché dovrei vergognarmene?”"
"Martire", pubblicato da La Nave di Teseo grazie alla traduzione di Chiara Spaziani, tra i finalisti del National Book Award, ha una struttura narrativa complessa.
Seguire il percorso mentale del protagonista, Cyrus Shams, non è semplice.
È vorticoso, confuso, pieno di incidentali.
La morte della madre su un aereo iraniano e la scomparsa improvvisa del padre, la migrazione in America, le droghe, l'alcool, la difficoltà a credere in un'entità superiore sono segni incancellabili che tormentano il giovane.
Un'esistenza strampalata e la passione per la scrittura esercitata come un'evasione, gli incontri e i deliri, il presente e il passato, l'ironia velata di malinconia, il bisogno di vedersi altro da sè rendono la trama incostante, saltellante, a tratti onirica.
Unica nota positiva è legata alla necessità di travalicare la morte, renderla luminosa, utile, provocatoria.
Essere eroe di un tempo senza senso, riempire il vuoto o forse semplicemente gridare forte la propria rabbia di fronte ad un destino avverso.
Comprendere il messaggio di Kaveh Akbar non è semplice.
Troppe deviazioni in una scrittura poco convincente.
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