"Il caso Morel" Ruben Fonseca Fazi Editore
"Di niente dobbiamo aver paura.
Se non delle parole."
La ripetizione della frase lascia perplessi e solo dopo aver finito di leggere "Il caso Morel", pubblicato da Fazi Editore grazie alla traduzione di Daniele Petruccioli, se ne comprende il senso.
Sono le parole che interpretano il reale e delimitano la finzione.
È proprio la contrapposizione tra questi due opposti a incuriosire.
Tra vero e falso c'è uno scarto infinitesimo, una piccola linea indecifrabile.
Due personaggi: Vileda, ex commissario diventato scrittore di gialli e Morel, accusato di aver ucciso una prostituta.
Un libro scritto dal colpevole e una trama con tanti lati oscuri.
Il romanzo è fortemente trasgressivo, crudo, a tratti disturbante.
Descrive la perversione e il vizio, il rapporto di potere sulle donne, il sesso come merce di scambio.
Ma se si scava a fondo si arriva ad intravedere la solitudine e l'amarezza dell'essere umano, l'incapacità di uscire dal gorgo della perdizione.
La società brasiliana simboleggia un universo peccaminoso e insulso, dove si è perso il concetto di bellezza.
A fare da controcanto le numerose citazioni e lo sguardo estatico di chi ama l'arte.
Credo che Ruben Fonseca giochi proprio su questo paradosso.
Nell'uomo coesistono due entità che lottano per avere il sopravvento.
Altra nota interessante è determinata dalla diversità dei protagonisti.
Solo apparente perchè entrambi sono attratti dal torbido.
La struttura narrativa ha momenti luminosi e scorci bui.
Il sentimento viene respinto come fosse un peccato mentre prevale la tendenza all'autodistruzione.
Il corpo che dovrebbe essere motore del piacere si trasforma in una macchina che non sa provare emozioni.
Impeccabile la scrittura con salti temporali e lunghe digressioni.
Forti le influenze della letteratura latino americana, smorzate da tracce noir non ben definite.
Un testo complesso, duro, in alcuni passaggi malinconico.
Nel finale l'ultimo enigma da risolvere, il più difficile.
Chi siamo e quale la strada per redimerci?
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