"Padri e fuggitivi"
S.J. Naudè
Edizioni e/o
«Scrivere è l’eccesso, l’acqua che trabocca oltre il bordo. Quello che viene a galla quando pensi di esserti svuotato, di aver tirato fuori tutto. Quando inizi a pensare: ecco, adesso ho la storia. Quando sei sul punto di alzarti e voltare le spalle allo schermo. Comincia in quel preciso istante».
I cinque capitoli che compongono "Padri e fuggitivi", pubblicato da Edizioni e/o e tradotto da Silvia Montis, sembrano storie separate, romanzi brevi.
Hanno in comune il protagonista, Daniel, scrittore sudafricano gay che vive a Londra.
La sua personalità viene fuori lentamente ma si ha la sensazione che sia estraneo agli eventi.
L'incontro con due serbi, la visita al padre morente sono registrati da una voce lontana, che si lascia trascinare dalla corrente.
Carico di pathos l'ultimo atto di questa struttura teatrale che a tratti si presenta come frammentaria.
S. J.Naudé ha una bella scrittura, sa essere criptico, colto.
Ma qualcosa manca nel quadro d'insieme forse volutamente.
Un vuoto, un distacco dominano nel testo che certamente è un ottimo esercizio letterario ma non riesce a trasmettere empatia.
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