"L'uomo che voleva essere colpevole" Henrik Stangerup Iperborea
"Chi governava?
Come?
Perché?
Nessuno lo sapeva.
Una a una le prigioni sparivano, ma era una società socialista?
Capitalista?
Nessuno discuteva più di ideologia."
"L'uomo che voleva essere colpevole", pubblicato da Iperborea Editore grazie alla traduzione di Anna Cambieri, ha certamente un impianto distopico ma contiene un nucleo centrale fortemente politico.
Descrive una società, quella danese, che dopo gli anni sessanta carichi di aspettative, si è appiattita.
Azzerata l'autodeterminazione, introdotte leggi che impediscono ogni possibilità di scelta.
Si vive dentro casermoni in una città dove tutto è pianificato.
Un appiattimento culturale e sociale, la morte di ogni ideale e un controllo indiretto costante.
In questa atmosfera si sviluppa una trama che invita alla riflessione.
Al protagonista Torben è affidato il compito di essere cavia di un sistema deviato.
In un impeto d'ira uccide la moglie, viene ricoverato e giudicato innocente.
Non esiste la colpa senza il libero arbitrio.
Il bisogno di espiazione ha radici antiche legate ad una visione dell'uomo come soggetto e non come oggetto.
È la necessità di percorrere la strada del perdono e dell'accettazione di un sè consapevole dell'errore.
Henrik Stangerup descrive in maniera così incalzante e attendibile la capacità di condizionamento del governo al punto che in alcuni passaggi non sappiamo distinguere realtà e finzione.
La sua opera ha valore educativo, sa scuotere e coinvolgere.
In un finale travolgente e inaspettato forte è il senso di impotenza ma tra righe emerge una sottile speranza.
Torben riprende a scrivere romanzi e questo particolare fa pensare ad un messaggio sottinteso.
Mai abbandonare la parola scritta e soprattutto ricordare che è impossibile fuggire dalla propria coscienza.
Un libro geniale, unico nel suo genere, provocatorio e vissuto.
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