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"La memoria non fornisce alcuna prova della mia permanenza o della mia identità. Mi fa sentire e mi conferma la mia frammentazione e la mia storicità."
Nel ripercorrere l'infanzia Annie Ernaux mantiene quello sguardo duro, provocatorio, distante che tanto amiamo. 
"La vergogna" pubblicato da "L'orma Editore" spiazza il lettore, lo costringe ad interrogarsi su quella sottile, nascosta e dolorosa inesistenza del sè. Esistono gli altri, nel mondo perfetto delle regole borghesi e nell'ombra, come macchia indelebile, si staglia l'errore fatto di abitudini trasandate, "indegnità", "follia" che si appiccica lasciando scie vischiose.
La scrittrice misurandosi con i ricordi crea un ponte tra prima e dopo, cerca di assorbire ogni gesto, ogni frammento dei suoi dodici anni. 
La scrittura è aspra e nello scorrere delle immagini lascia poco spazio alle edulcorazioni sentimentali. 
"Le parole che ritrovo sono opache, rocce impossibili da smuovere". 


Nelle frasi brevi si concentra la capacità di rendere metafisico ciò che potrebbe risultare banale. Spaziare nel terreno di una lingua affilata, priva di orpelli.
Obiettivo è ritrovare il filo dell'onda che l'ha travolta, l'ha resa diversa, piatta, quasi invisibile.
La religione come obbligo, la scuola privata che appiattisce la personalità, le liti dei genitori: una disarmonia che altera anche il presente. 
Ed è necessario ricordare, scrivere finalmente con rabbia per rendere "insostenibile lo sguardo degli altri". Marcare il proprio spazio, gridare che non ci sono gesti proibiti, che la parola è libertá.

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