"Il lampadario" Clarice Lispector Adelphi Editore
"Tutto quello che fa paura perché ci lascia da soli lo dobbiamo ricercare."
Straniante e visionario, sospeso in un tempo sfuggente, tragico e dolente, misterioso e mistico.
"Il lampadario", pubblicato da Adelphi Editore e tradotto da Virginia Caporali e Roberto Francavilla, va letto come perturbante visita nell'ignoto.
Un non luogo popolato da ombre e desideri repressi.
Dove il corpo è passività e attesa.
L'infanzia la sperimentazione del dubbio.
L'adolescenza la sommersa espressione di un Io schiacciato.
L'età adulta la ricerca di passioni inesaudite.
Impalpabile e magmatica come gli oggetti che la compongono Virginia sembra dissolversi in una nuvola di ambiguità.
La casa sempre più spoglia di mobili, fantasma di un'epoca felice.
Solo un vecchio tappeto a richiamare fasti perduti.
Il padre, silenzioso giudice di regole che solo lui comprende.
La madre persa in una giovinezza spensierata, assente vestale del nulla.
La sorella maggiore vittima di una colpa che aleggia creando turbamento.
Il fratello dominante e inquieto, cupo e persuasivo.
In questa atmosfera lo scollamento dal reale diventa sopravvivenza.
La protagonista inventa un suo mondo dove tutto è fragile e indistinto.
Scaccia la paura attraverso una patina che sembra indifferenza o resa.
"Con il passare del tempo era nata in lei una segreta vita attenta; comunicava in silenzio con gli oggetti intorno, con una certa osssessività tenace e inosservata che tuttavia era il suo modo più interiore e vero di esistere."
È la dispercezione di chi non si accetta e non accetta ciò che la circonda.
L'impotenza di fronte agli enigmi esistenziali, la distanza dal dolore.
Clarice Lispector, alla sua seconda prova letteraria, data alle stampe nel 1946, riesce a scucire la personalità di Virginia, a mostrarne i nascondimenti e i fantasiosi ricami della mente.
Introduce una nuova lingua dove il femminile finalmente può librarsi verso spazi infiniti.
Pericolosi, oscuri, disabitati, tragicamente attraenti.
Ed eccola vittoriosa nell'ultimo gesto che ha sempre cercato.
Il nulla spalanca le sue porte, resta l'impronta di una fanciulla che ha preferito sussurrare al vento le sue parole.
Un romanzo non frammentario, coeso, cesellato come un gioiello.
E tale è, raro nella bellezza di una scrittura ipnotica e leggera.
Un vortice di sensazioni, una parodia del nostro inquieto aggirarci nelle lande della fugacità.
Resta la voglia di ritornare sulle frasi, di farle scorrere sulla pelle.
Potente, privo di virtuosismi, un invito a correre dove ci porta il rintocco dei nostri sogni.
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