"La sutura" Sophie Daull Voland
Partire da un vulnus incandescente per rinascere.
Farsi paleologa dei sentimenti.
Trovare una voce unica per trasformare la propria storia in una esperienza collettiva.
Esprimere a parole ciò che si è custodito nel cuore.
Imparare a camminare all'indietro in una ricerca di riappropriazione.
È questa la sfida che ci lancia Sophie Daull.
Chi ha letto "Il lavatoio" sa che l'autrice non conosce mezze misure, non si ferma quando le domande diventano aghi di ghiaccio.
La scrittura è funambolica, vissuta con improvvise virate stilistiche.
"La sutura", pubblicata da Voland Editore nella traduzione di Cristina Vezzaro, rispetta gli stilemi linguistici, la poetica straniante dell'anima, le suggestioni ritmiche, i passaggi sentimentali, le fluorescenze visive.
Cambia la prospettiva perchè differente è l'empatia.
Di quella madre uccisa a quarantacinque anni con quarantuno coltellate resta l'evanescenza, come un'ombra che si allontana.
Qualcosa che rischia di dispendersi per sempre nel Nulla.
Bisogna aggrapparsi ai pochi segni che ne testimoniano la presenza.
Cercarne altri in un viaggio fisico e metafisico.
I luoghi rappresentano un aggancio alla realtà, il racconto è corollario a una profonda, impenetrabile sublimazione dell'assenza.
Già il titolo è premonitore, simbolo di una fusione tra ciò che è vero e ciò che è frutto della fiction.
Ogni indizio allontana la foschia ma apre altri scenari possibili.
Ci si chiede se la Madre sia figura retorica dilatata di un grembo che è stato svuotato, devastato da un'altra tragica scomparsa.
Il romanzo ha una tessitura fine, è la tela che ogni figlia vorrebbe ricamare.
È il pianto e il sorriso, la scoperta del proprio coraggio.
È l'ultimo disperato tentativo di fermare il tempo, proteggerlo all'interno di una teca.
Non importa se la fantasia deve riempire i buchi, quello che conta è aver dimostrato che non si può cancellare quella parte di noi che vuole conferme.
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