"I gatti di Shinjuku" Durian Sukegawa Einaudi Editore
"Come avevo fatto a finire cosí?
Era quella la vita che mi toccava in sorte?
Domande del genere mi ribollivano dentro tormentandomi in continuazione.
In quei giorni mi pareva di guardare a un cielo stagnante da un vicolo cieco, senza sapere cosa fare di me."
La frase, tratta da "I gatti di Shinjuku", pubblicato da Einaudi Editore grazie alla traduzione di Laura Testaverde, mostra in controluce quel mondo di opportunità negate, di fallimenti e di delusioni.
Ma per i puri di cuore, i sognatori, le anime libere si possono aprire nuove e inaspettate vie di fuga dal grigiore della mediocrità.
Siamo a Tokyo, nella anni Novanta durante l'espansione selvaggia del mercato immobiliare che trasforma la città in una riproduzione falsata della sua identità.
Yama, protagonista e voce narrante, aspirante sceneggiatore, si aggira per le vie del Goldengai, piccolo quartiere che ha mantenuto le caratteristiche di un Giappone antico.
Ad attrarlo un bar, il Kalinka ed è in questa oasi della diversità che troverà ciò che gli manca.
Tra personaggi variegati e ai margini riconosce la vera umanità fatta di gesti e di azioni che hanno senso solo se si entra nel loro mondo.
Ed è quello che facciamo noi lettori, curiosi e straniti da quell'atmosfera forse stravagante ma affettivamente autentica.
A servire ai tavoli una donna speciale, magnetica e misteriosa: Yume.
Lo sviluppo della trama ha orientamenti che solo in parte ricordano "Le ricette della signora Tokue" (Einaudi 2019).
In questa prova letteraria Durian Sukegawa esplora il territorio dell'effimero.
Ciò che appare solo a chi riesce ad andare oltre il visibile, a chi si affida alla scoperta.
Il libro è una carezza per il linguaggio poetico oscillante verso qualcosa che sta per accadere, per la impeccabile realizzazione della struttura narrativa, per la leggerezza di una scrittura empatica e calda.
E i gatti?
Ne scoprirete delle belle se vi lascerete tentare da un romanzo che sa fermare il tempo.
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