"La paura ferisce come un coltello arrugginito" Giulia Scomazzon Nottetempo Editore
"Come posso sapere che mi amava se non ho nessuna prova, nessuna memoria, nessun testimone disposto a parlarmi di lei, a fare lo sforzo di ricordarla?"
Roberta, inghiottita nel limbo della dimenticanza per azzerare la vergogna.
Morta per complicanze dell'AIDS, contratta da ragazza, resta icona di quella falce che ha colpito impietosa.
Tocca alla figlia Giulia ricomporne la memoria, trovare tracce di una presenza.
Era solo una bambina quando il lutto ha travolto il suo piccolo mondo e per anni ha subito il silenzio degli adulti.
Su invito della psicologa prova a scrivere ma le parole sono acide, distanti.
Raccolgono pensieri come fossero lacrime mai versate in un costante confronto con la ragazzina di allora.
Foto e pochi scritti non aiutano a svelare chi era quella donna che l'ha portata in grembo mentre già sapeva di essere malata.
"La paura ferisce come un coltello arrugginito", pubblicato da Nottetempo Editore, è feroce, doloroso, intransigente.
Nella ricerca di quel tu che manca si annidano le nuvole di una non accettazione del Sè.
Colpevole di non saper amare l'estranea, dilaniata dalla difficoltà di superare l'ostacolo che continua ad invadere la via.
È un sentimento remoto, rabbioso, incostante.
È la perdita non accettata, l'incapacità di confrontarsi con gli altri, la riservatezza scambiata per timidezza.
"Le madri, in fondo, sono le prime sovrane della condanna e del perdono, ogni bambino lo sa e ogni bambino eredita questa capacità e questo limite nei primi anni di vita."
Il libro fa affiorare l'inenarrabile, quel dolore sordo che è diventato compagno.
È una morsa di gelo mentre si cerca di destabilizzare il passato, di frantumarlo e metabolizzarlo.
Giulia Scomazzon racconta se stessa e quel tempo complesso che ha attraversato la sua mamma.
Lo fa con linguaggi differenti cercando di staccare il suo privato da quell'inferno collettivo che vide una generazione colpita dal virus.
E la malattia è qualcosa di segreto, tragico, infamante.
La scrittrice nella elaborazione serrata dei suoi anni trasforma il vuoto in "uno spazio, qualcosa che respira, che si riempie e si svuota di ricordi e di oblio con un ritmo" che sconfigge il terrore.
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