"Dove non mi hai portata" Maria Grazia Calandrone Einaudi Editore
"Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale.
Scrivo questo libro per strappare alla terra l'odore di mia madre.
Esploro un metodo per chi ha perduto la sua origine, un sistema matematico di sentimento e pensiero, così intero da rianimare un corpo, caldo come la terra d'estate, e altrettanto coerente."
Il percorso narrativo di Maria Grazia Calandrone segue diverse traiettorie che si incontrano un un unico spazio: quello dell'amore.
Sconfinato, appassionato, feroce.
Capace di alitare vita, di trasformare la cenere in carne ed ossa.
E quel corpo riesumato attraverso una ricerca che non conosce freni o inibizioni ci viene consegnato nella purezza di una parola forte, tesa, essenziale.
Anche nei passaggi di maggiore tensione la scrittura fluisce spontanea, primitiva, antica.
Nasce dalle viscere, da quel prima di esistere.
Dalle incandescenze di un passato che va rivisitato, accompagnato, liberato.
Un passato carico di grumi, di passioni, di silenzi, di colpe.
Farlo riemergere significa fare i conti con qualcosa di profondo che ti appartiene, potrebbe essere un fiume in piena o una montagna da scalare.
Non sai dove ti condurrà, se sarà il tuo inferno o il tuo paradiso.
"Dove non mi hai portata", pubblicato da Einaudi Editore, è la salita e la discesa, il bivio da attraversare, la verità da far emergere.
Nasce da un lungo viaggio che l'autrice compie all'interno di quell'Io che attende da sempre risposte.
È la rivisitazione della bambina, della donna e della madre che si fa archeologa, fotografa, storica.
Nell'impianto stilistico prevale la voce poetica rallentata, modulata in passaggi sintetici, ricamata da mani esperte.
Mani che sanno governare le emozioni, filtrarle, purificarle, offrirle come piccole gemme.
Chi è veramente Lucia, madre biologica, scomparsa nel nulla?
Non ha fretta Maria Grazia, con pazienza torna alle fonti, ai luoghi, intervista, ascolta, raccoglie voci.
Impara a mettere insieme frammenti dell'infanzia di quella donna che è stata da sempre il tassello mancante.
Un innocente gioco di sguardi, l'ipotesi di un futuro insieme frantumato dalla ferrea volontà dei genitori di lei.
Un matrimonio obbligato senza festa nè luce, un materasso nel quale si consuma la solitudine e la negazione del piacere.
Un crescendo di eventi che inondano la pagina, sommergono la povera Lucia, la abbandonano al suo destino.
Si compie l'ultimo atto di una tragedia già scritta come grande dono generoso a una figlia.
"Scindersi dalla propria matrice diretta e poi
Vivere, soli come non siamo ancora stati."
Difficile descrivere ciò che si prova immersi nella lettura.
Tante scariche elettriche si condensano ed esplodono, ci costringono ad interrogarci sulla maternità nel momento in cui viene tagliato il cordone ombelicale.
E nel coraggio temerario di Lucia ci sono tutte coloro che hanno vissuto la vergogna e il disonore, hanno dovuto affidare i propri figli, non hanno avuto scelta.
L'autrice riesce ad uscire dal suo personale racconto.
Gli anni sessanta e ancora prima i danni emotivi provocati dalla Guerra: non manca niente nel quadro d'insieme.
È il tempo della redenzione e dell'abbraccio, della liberazione dal peccato e della rinascita.
È il momento di dirsi arrivederci da sponde diverse unendo vita e morte in quel per sempre che ci rende immortali.
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