"Un giorno qualunque" Hebe Uhart La Nuova Frontiera
"Il mondo era una grande prigione"
Dalle sbarre che non ci permettono di dare spazi alle sensazioni ci libera la scrittrice argentina Hebe Uhart.
Grazie a La Nuova Frontiera arriva in Italia "Un giorno qualunque" spalancando le porte della quotidianità.
Una sequenza di immagini che fermano l'istante, ne colgono le stranezze e le bizzarie.
Gestualità dilatate mostrano le incongruenze di ciò che definiamo abituale.
La preparazione di una torta, la pulizia della casa, un gioco a carte, un sogno interrotto: la banalità diventa evento da comprendere.
È l'attenzione alla minuzia, a ciò che sfugge, è il pensiero che si disperde nel vento, l'ipotesi che resta in bilico.
Ogni storia riesce a spiazzare perché non propone la struttura narrativa consueta.
Non c'è inizio e non c'è finale ma una concatenazione ininterrotta, un flusso magnetico.
È come se ognuno sappia che manca qualcosa, un rimosso e nel cercarlo esprime le proprie percezioni.
Le donne tutte diverse stanno appese tra certezze e dubbi in un'altalena che le rende reali.
Parlano senza veli, monologhi che possono prendere direzioni inaspettate.
Sembrano fragili ma in questa ricerca di senso raccontano la loro forza.
La scrittura non ha freni, passa da un cavillo ad una riflessione filosofica.
Gli ambienti lasciano intravedere i colori dell'America Latina senza eccessive sfumature.
Non servono perché quello che conta è portare in scena anime che vagano senza tregua.
"Ormai ho molti ricordi e sono un gran peso per me."
Credo sia questo uno dei temi dominanti, scarnificare, eliminare l'eccesso, arrivare alla sostanza, a quel nucleo centrale che può essere nulla o tutto.
La traduzione di Giulia Di Filippo rende brillantemente la vivacità della narrazione, ci regala la filigrana di una delle più estroverse donne del novecento.
Libro perfetto per chi va in giro per il mondo "in cerca di una destinazione, di un destino."
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